Qualche giorno fa la Corte di Cassazione ha emesso un verdetto che potrebbe rivoluzionare completamente l’approccio fiscale di moltissime aziende italiane.
E’ stata chiamata evasione fiscale di sopravvivenza e c’è già chi ritiene sia una delle più importanti e decisive sentenze di cassazione pronunciate negli ultimi anni, che favorisce il mercato del lavoro e quello imprenditoriale tutelandone l’attività ed evitando pesanti ripercussioni nell’ambito occupazionale.
La Corte di Cassazione, infatti, con una sentenza inattesa, ha deciso di introdurre l’istituto dell’evasione di garanzia a patto che sussistano alcune condizioni particolari che costringono l’imprenditore a non versare quanto dovuto al fisco pur di poter continuare a portare avanti l’impresa.
Nel caso specifico, la sentenza è nata per una causa che la Pubblica Amministrazione ha intentato nei confronti di un imprenditore edile accusato di non aver versato l’IVA per una quota pari a 170 mila euro. Sulla base di questo, il Tribunale di Pescara, come da prassi, aveva preliminarmente disposto il sequestro dei beni mobili e immobili riconducibili alla società e ai suoi titolari che, però, si sono opposti a questa misura coercitiva facendo valere le loro ragioni con un’istanza di appello in Corte di Cassazione.
Ma quali sono i motivi che hanno spinto i giudici di ultima istanza a dare ragione all’imprenditore? Il motivo va ricercato nel credito vantato dalla stessa società nei confronti della stessa Pubblica Amministrazione che esige il versamento dell’IVA. In particolare, è emerso che la società edile vanta un debito di quasi 4 milioni di euro, esattamente 3,9 milioni, per lavori eseguiti nel 2011 e mai saldati dalla Pubblica Amministrazione.
A questo punto, il giudice di cassazione ha valutato la situazione e ha deciso di ascoltare le ragioni dell’imprenditore, dal momento che, se la Pubblica Amministrazione avesse saldato quanto dovuto per i lavori alla società, questa non si sarebbe trovata nelle condizioni di dover evadere il fisco per continuare a svolgere la sua attività. Maturare un debito di 170 mila euro, a fronte di un credito di 3,9 milioni di euro verso la stessa persona, è stato considerato indispensabile e inevitabile dalla cassazione per garantire la permanenza sul mercato della società.
Inoltre, la società ha portato in Cassazione tutti i documenti che dimostrerebbero come in questi anni ci sia stata la piena volontà di esercitare l’attività nel pieno rispetto della legge, mettendo in atto qualsiasi tentativo per ottemperare agli obblighi fiscali. La Pubblica Amministrazione, pertanto, secondo il giudice di cassazione, non si trova nella posizione di diritto per esigere il versamento dell’IVA, giacché è stata ritenuta la principale responsabile dei conti in rosso della società edile chiamata in causa e, quindi, dell’evasione fiscale.
Per il mondo imprenditoriale con questa sentenza si aprono spiragli di speranza per poter continuare a svolgere con serenità la propria attività lavorativa, con meno pressioni da parte del fisco. La Banca d’Italia ha stimato in 91 miliardi di euro i debiti che la Pubblica Amministrazione ha accumulato per lavori eseguiti e mai retribuiti a società private nel solo anno 2011. Molte di queste aziende, purtroppo, non hanno retto e hanno chiuso ma tante di queste continuano a lottare per vedere riconosciuti i loro diritti e i loro pagamenti.
Con la nuova riforma, chiunque stringa accordi per la Pubblica Amministrazione per l’esecuzione di un lavoro ha diritto al pagamento entro 60 giorni anche se, attualmente, soprattutto per le spettanze maturate prima della riforma, i pagamenti medi si effettuano in 100 giorni, con casi che superano abbondantemente l’anno.
autore: Andrea Fantini
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